Cenni su antiche opere pubbliche di Polignano (Ponte a cinque arcate e Casal nuovo) ritenute sic et simpliciter “murattiane” ma “senza alcun fondamento di historica autorità”.
“Polignano è uno strano paese”. E forse aveva ragione uno studioso locale che alcuni decenni or sono dette alle stampe un suo scritto dal medesimo titolo sopra virgolettato.
Io mi limito a constatare, per quel che riguarda la mia passione di ricercatore di carte d’epoca, che Polignano è veramente uno strano paese perché non ha alcuna voglia di rispettare la verità della storia, quella sancita dalle carte d’epoca, cioè dai documenti estratti da archivi, quelle che scavo e porto alla luce e che man mano e sempre più spesso vado a sottoporre alla conoscenza di tutti.
Orbene si può dire, per rispetto alla storia per come essa emerge da polverosi documenti d’archivio, che Polignano ha un grandioso ponte edificato in epoca borbonica, come la strada che va da Mola a Polignano e da Polignano a Monopoli è stata anch’essa costruita in epoca borbonica.
A Bari si cita tranquillamente senza alcuna remora il Faro borbonico, il Molo borbonico (cfr. foto) come non si sottace che il teatro Piccinni è borbonico, che il Palazzo dell’Intendenza (oggi Prefettura) è borbonico, che la chiesa di san Ferdinando in via Sparano è borbonica, che Corso Ferdinandeo è borbonico (cambiò denominazione nell’attuale corso Vittorio Emanuele in data 10 settembre 1860, tre giorni dopo l’ingresso di Garibaldi a Napoli scortato dal capo camorrista Salvatore de Crescenzo e da Liborio Romano ministro dell’interno del re Francesco II e anche ministro dell’interno del re savoiardo) etc. E mi fermo qui ancorchè la lista delle opere borboniche sia lunghissima.
Polignano è uno “strano paese” perché per cominciare a sfatare la insulsa leggenda che “il ponte a cinque luci di corda sul burrone sotto l’abitato di Polignano” (come è definito in documento dell’epoca) sia stato “voluto” “o fatto costruire” dal re francese Gioacchino Murat, è stato necessario svolgere una meticolosa indagine documentaria presso l’archivio di Stato di Bari e di Napoli. Gli esiti dell’indagine sono a fondamento della pubblicazione dal titolo “Il ponte sul burrone. Breve storia di un’opera polignanese di paternità taciuta”. Sono 118 pagine stampate in proprio nel 2009, a distribuzione gratuita. Dacchè le copie cartacee sono terminate è anche scaricabile dal Web, ovviamente sempre gratis et amore dei.
Ma non è bastata la detta approfondita pubblicazione, impreziosita dalla lunga e articolata prefazione di uno storico di grande fama e di grande spessore come l’esimio prof. Franco Cardini, perché permane una spessa coltre di ignoranza o piuttosto di malafede sicchè si mira ad ascrivere ancora e sempre al Murat la paternità del ponte. Si vada ad esaminare una pubblicazione commissionata nel 2009 dall’amministrazione comunale a maggioranza di centro destra e pagata fior di quattrini sottratti dalle tasche dei cittadini. Il suo titolo è: “Polignano a mare in tasca”. Essa contiene alcune gravi inesattezze ma quella che riguarda il presente argomento si trova a pagina 7 ove è scritto”… Sulla lama monachile si erge il ponte fatto costruire da Gioacchino Murat…”. Una nuova amministrazione di centro sinistra avrebbe dovuto ovviare al grossolano errore della precedente amministrazione e invece edita nel 2012 una nuova guida dal pomposo titolo: ”Polignano a mare. La guida” in cui si fa a gara con la precedente guida ad aggiungere mille altri macroscopici errori storici. A pagina 16 è testualmente scritto: ”Il maestoso ponte voluto da Gioacchino Murat sorge sul vecchio ponte romano”… Come faccia un maestoso ponte ad ergersi sul vecchio ponte romano è un mistero che solo il Padreterno potrebbe essere in grado di capire…
Invece, la recentissima pubblicazione dal titolo “Polignano a mare”, Adda Ed. € 10,00 a cura del dr D. Matarrese, dirigente dei servizi culturali del Comune, finalmente rettifica una sua precedente versione e correttamente scrive che il ponte venne edificato a metà degli anni trenta del XVIII secolo.
È un passo certamente in avanti sulla strada della correttezza storica ma senza che alcuno abbia fatto ammenda delle versioni errate e in precedenza divulgate e senza far cenno agli esiti della ricerca documentaria sopra menzionata. Ma poco me ne cale perché a me interessa la verità della storia e non le menzioni personali.
Purtroppo si rimedia finalmente ad un errore e ne capita un altro. La stessa guida a firma del dr Matarrese evita di ripetere la favola del “ponte murattiano” ma menziona due volte, a pag. 32 e a pagina 75, un’altra favola quella dell’esistenza del “quartiere murattiano”. Una favola perniciosa perché, come già successo per il ponte, è bastato che uno studioso di Polignano, alcuni decenni or sono, scrivesse - senza alcuna documentazione a sostegno - che il ponte era di epoca murattiana perché tutti prendessero per buona la notizia e gli andassero dietro acriticamente. E perciò anche in questo caso mi ci sono messo di buzzo buono per sfatare questa nuova infondata convinzione. Gli esiti particolareggiati saranno contenuti in una prossima pubblicazione dal Titolo: “Il catasto onciario di Polignano del 1752 e successivi catastini”. Al momento, escludo senza ombra di dubbio che esista a Polignano un quartiere murattiano, come non esiste a Monopoli dove gente colta e più seria ha definito, da sempre, il quartiere sorto a fine ‘700 oltre il paese vecchio come “Borgo” e basta. E tale è conosciuto da tutti anche fuori Monopoli.
Noi invece a Polignano ci riteniamo più bravi e più precisi dei monopolitani e soprattutto incuranti di appartenere al paese più strano d’Italia. A qualcuno è forse scappato di citare, magari senza rendersi conto di quel che diceva ma ripetendo pappagallescamente, solo per sentito dire o per averlo letto nella guida del dr Matarrese, l’espressione “quartiere murattiano” in una intervista pubblicata sui giornali locali e prima ancora in una intervista televisiva in merito al PUM (il nuovo piano del traffico e dei parcheggi).
Insomma è urgente e necessario ristabilire subito una rotta univoca, perché potrebbe capitare che se non si fa subito piena chiarezza storica possa prender piedi un’altra favola come la favola del ponte ascritto a un padre, il re Gioacchino “Napolione” Murat, morto vent’anni prima che il ponte venisse edificato per esclusivo volere dell’amministrazione borbonica a beneficio deitravagliatori locali e dei paesi circonvicini, come è scritto in un documento estratto dall’Archivio e pubblicato in calce alla ricerca documentaria.
E la ricerca documentaria da me svolta conferma in maniera convincente per la ricchezza dei documenti allegati che il ponte aveva una paternità certa ma veniva negata per pigrizia mentale, per conformismo ideologico, per il volersi uniformare alla damnatio memoriae nei confronti di un regno conquistato e sconfitto, depauperato e vituperato. Lo stesso dr Matarrese, da persona intelligente e seria, ha rettificato subito la precedente versione scrivendo che il ponte venne edificato nel 1835, dunque a distanza di venti anni dalla morte del padre….putativo!
Rimane da convincere i polignanesi che definire “quartiere murattiano” è un’altra amenità locale perché il quartiere costituito dalle vie Tritone, Sirene, Flora (oggi Via Roma) Cerere, Circe (oggi Matteotti), Atropo, Ciclopi era già stato definito e progettato e quasi interamente edificato subito dopo il decreto di Ferdinando IV di Borbone del 28 novembre 1786 cui seguì l’anno successivo l’allargamento della “postierla” esistente poco oltre l’allora convento di san Benedetto con l’apertura della seconda porta di accesso al paese vecchio, la c.d. “porta picce”. Dopo di che si verificò un vero e proprio boom edilizio progettandosi le strade sopra citate con tutte le traverse intitolate in gran parte con nomi floreali, come ancora oggi è facile riscontrare.
Tanto emerge dai "catastini", che erano gli aggiornamenti del Catasto onciario del 1752, dai numerosi protocolli notarili degli anni ‘80/’90 del settecento che menzionano le compravendita di “sottani, soprani, mezzisoprani, sovrasoprani” in quelle strade. Ma c’è di più onde sperare di convincere in maniera incontrovertibile eventuali altri polignanesi che dovessero usare termini storici a sproposito circa l’attribuzione di paternità inesistenti.
Giuseppe Gimma (1747-1829), è stato un architetto nato a Polignano da umili origini, studiò alacremente e con notevoli risultati materie tecniche a Napoli ove si addottorò. Operò moltissimo nella Puglia borbonica (cfr Clara Gelao: “Giuseppe Gimma. Un architetto tra due secoli. Città, monumenti e infrastrutture nella puglia borbonica”) avendo capacità tecniche fuori del comune e avendo avviato uno studio tra i più richiesti dell’epoca, insomma una sorta di Renzo Piano di oltre duecento anni fa. Il Gimma non solo redasse il primo progetto del Borgo di Bari, insieme agli ing. Viti e Palenzia, subito dopo il decreto del re Ferdinando IV del 16 febbraio del 1790 ma in precedenza aveva redato il progetto della strada consolare da Bovino a Lecce (completata entro il 1860). Il progetto è redatto in vari disegni. Il disegno del tratto di strada da Fasano a Bari è quello (foto) in cui sono contrassegnati appunto Fasano, Monopoli, Polignano e Mola.
Che c’entra il disegno di Gimma con il borgo definito impropriamente “murattiano” e non, p.e., Borgo come è denominato nella relazione del 1813 del Decurionato polignanese, o Casalnuovo? O tutt’al più “Città consolidata” come mi scrive il dr Domenico Scagliusi volendomi partecipare l’espressione usata dal progettista del PUM.
Tutto il borgo costruito a partire successivamente all’apertura della “porta picc” è ben visibile nel disegno del paese di Polignano riportato nel tracciato della costruenda strada regia …
Dunque la matita dell’arch. Giuseppe Gimma dimostra inconfutabilmente che l’espansione del paese era già realizzata a fine del ‘700.
Infine, è appena il caso di precisare e sapere che il tanto riverito nome di Murat utilizzato come aggettivo in ogni salsa, venne usato in calce a decreti e regolamenti in un periodo piuttosto breve, dal 2 settembre 1808 al 2 maggio 1815. Sono sei anni e nove mesi di regno durante i quali sembra che sia stato un demiurgo infallibile e instancabile quanto invece, nella realtà, era un monarca roso dall’invidia nei confronti del suo benefattore, nonché cognato, Napoleone contro cui sferrò moltissime pugnalate alla schiena realizzando vergognosi tradimenti come il Diario Mallardi ci conferma in molte pagine.
Quanto sopra argomentato e scritto è opera di un visionario “filoborbonico”? Sul punto ci sarebbe da dire molto ma esulerebbe da questo contesto.
Mi limito a dire che il prof. Giacomo Campanelli, insigne docente monopolitano di Liceo e a lungo consigliere comunale del PSIUP negli anni ’70 del secolo scorso, scrive: “L’espropriazione forzata consentì di bruciare i tempi. Quando venne Murat a Monopoli il 24 aprile 1813, il borgo era in pieno sviluppo e non ha senso storico il termine “murattiano” se non per la classe politica che si ispirò alla monarchia napoleonica e formò il nerbo del liberalesimo meridionale. Il borgo esisteva prima di Murat. A mettere sotto i piedi il diritto romano che non ammetteva il principio dell’esproprio generalizzato, neanche per pubblica utilità, era stato il riformismo illuminato della monarchia borbonica….”. Tratto da Storie e profili pag. 206, in Monopoli nel suo passato, tomo 2. (foto).
Aggiungo che il decreto di espansione della città vecchia di Monopoli reca la data del 18 dicembre 1788 e quello di Bari è posteriore e reca la data del 16 febbraio 1790.
Scorrendo le date risulta evidente che Polignano ha anticipato tutti nell’opera di allargamento e ammodernamento del paese!
C’è di più, ma l’ora è tarda e credo che per il momento possa bastare.